Sono passato a trovare i miei prima di partire. Lo faccio sempre se devo affrontare un viaggio.
“Che hai? Non ti senti bene, ciccio?”, ha esordito mio padre.
“Forse ho un po’ di febbre, pà. Ma tanto lo sai. Io parto lo stesso.”
Si è avvicinato. Mi ha sfiorato la fronte con le dita e ho provato quella sensazione infantile di una mano fredda
sulla fronte tiepida. Come se non bastasse, poi mi ha invitato ad abbassare la testa e si è poggiato sullo stesso punto con le labbra. Ne ho subito percepito le minuscole screpolature. Come se avesse masticato tutto il tempo del mondo per risputarlo da qualche parte. Chissà dove.Per qualche istante sono rimasto immobile. Quasi pietrificato. Poi mi ha fatto segno di “no”, accompagnando il gesto con una piccola smorfia della bocca.
Io gli ho sorriso.
“Visto che Italia ieri? Il resto, come va?”, mi ha chiesto.
“Va, diciamo che va”, gli ho risposto.
Mio padre porta il cappello anche dentro casa, sembra Colto Maltese. Guardava il giornale, ma non lo leggeva davvero. Sfogliava e respirava in mezzo alle pause tra una pagina e l’altra. “Se va, allora è già qualcosa”. E mi ha sorriso.
Poi si è alzato e mi ha messo una mano sulla spalla, forse perché non arriva più a scapigliarmi i capelli. Forse perché non ho più abbastanza capelli da scapigliare. Lui ha ancora quello sguardo in grado di trasmettere fiducia. Lo stesso di quando mi ha insegnato ad andare in bicicletta. Uno sguardo a volte monumentale.
Ma stavolta è passato oltre. Aveva le mani in tasca. Ha acceso la televisione e poi è uscito con la cagnolina che adora. Su Sky c’era “Il cavaliere oscuro”. L’ultimo film di Christopher Nolan sulla saga di Batman.
Ho pensato, ma perché fa così? Accendere la televisione e poi uscire. Ma che senso ha?
Intanto alla TV scorrevano le immagini di Alfred che legge il biglietto lasciato da Rachel a Bruce Wayne. Michael Caine, che attore formidabile.
“Caro Bruce, devo essere sincera e chiara. Io sposerò Harvey Dent. Lo amo e voglio passare il resto della mia vita con lui. Quando ti ho detto che se Gotham non avesse più avuto bisogno di Batman noi saremmo potuti stare insieme, dicevo sul serio. Ma ora sono sicura che non verrà mai il giorno in cui tu non avrai più bisogno di Batman. Io mi auguro che arrivi. E se succederà sarò al tuo fianco. Ma come tua amica. Mi dispiace deluderti. Se perdi la fiducia in me, ti prego, almeno mantieni la fiducia nella gente. Con amore, adesso e per sempre. Rachel.”
Non parlo. No emetto un suono. Forse nemmeno respiro. Lo fa mia madre dalla cucina.
“Papà non sopporta il silenzio delle case grandi.”
In questa casa si legge il pensiero, penso io.
Ma non le ho risposto. Ho lasciato la TV accesa e sono salito in camera. Ho percorso il corridoio guardando le maioliche del pavimento. Facendo bene attenzione che a ognuna di esse corrispondesse un passo preciso. Poco prima di entrare ho gonfiato il petto con un respiro profondo. Poi ho chiuso gli occhi. E per qualche istante ho pensato al tempo che passa. A mia madre che taglia le patate con gli occhi lucidi sussurrando “maledette cipolle”.
E a mio padre che non mi guarda più negli occhi. Ho pensato a queste cose e poi ho immaginato che c’è qualcosa di strano nelle stagioni che scorrono, qualcosa che stona con la realtà. Come se l’amore della gente comune non fosse abbastanza e ce ne volesse di più. Ce ne volesse infinitamente di più.
Dalla finestra ho guardato la tela di un piccolo ragno nascere e morire nel giro di pochi minuti. E mi sentivo stanco. Ho fissato lo specchio pensando alle cose che ogni tanto scrivo. Ho sorriso e ho fatto spallucce, come se potessi scrollarmi con una mossa tutto il passato di dosso.
Mi sono sdraiato sul letto e l’ho fatto vestito. Sono rimasto, non so quanto tempo, a guardare la mia vita scorrere proiettata sul soffitto. Alla fine ho chiuso gli occhi e mi sono svegliato a 12.000 chilometri di distanza.
Oggi fa caldissimo in questo posto dimenticato da Dio. Però ci sono nuvole. Magari più tardi si metterà a piovere. O forse no. Non saprò mai se ciò che faccio è il meglio. Se è la cosa più giusta al momento più opportuno. O se è la decisione migliore possibile. Ma so che nel momento esatto in cui lo faccio, per me è così. È questo mi solleva di gran lunga dalle conseguenze di tutti i miei errori.
E poi a me non piacciono le cipolle. Ma adoro le patate al forno.
30 giugno 2016 alle 12:17 PM |
mi hai commosso
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30 giugno 2016 alle 12:19 PM |
C’è a chi piace e a chi non piace ciò che scrivo. E poi esistono le persone sensibili, ma questa è un’altra storia. 😘
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30 giugno 2016 alle 12:25 PM
non e’ neanche bello piacere a tutti !
a me piace come scrivi
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30 giugno 2016 alle 12:27 PM
Grazie. La cosa mi lusinga. E a me piace scrivere, anche se purtroppo mi vengono meglio le cose malinconiche.
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30 giugno 2016 alle 12:28 PM
hai visto come si chiama il mio blog??? fai tu
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30 giugno 2016 alle 12:28 PM
😉
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30 giugno 2016 alle 12:29 PM
a me piacerebbe saper parlare di me ….. ma non ne sono affatto capace …
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30 giugno 2016 alle 12:30 PM
Se vuoi ne parlo io. L’ho già fatto in passato. Raccontami. Oppure non farlo. Lasciati soltanto osservare.
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30 giugno 2016 alle 12:33 PM
se riuscissi ad osservarmi, saresti davvero in gamba…
sono incomprensibile a chiunque
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30 giugno 2016 alle 12:36 PM
Chiunque è un bel bugiardo, racconta frottole insieme a “per sempre” e “mai più”.
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30 giugno 2016 alle 12:37 PM
su questo io ho un’idea precisa !! dove posso scrivertelo
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30 giugno 2016 alle 12:38 PM
Io ho un profilo FB. Oppure qui. gianlucamarcucci1970@gmail.com
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30 giugno 2016 alle 1:16 PM
spero di non aver sbagliato indirizzo mail..
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30 giugno 2016 alle 1:17 PM
Appena mi impadronisco di un PC ti leggo
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30 giugno 2016 alle 1:26 PM
okkey
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