Non ho mai avuto una palla di vetro. Io non lo so come vanno a finire le cose. Mi limito a desiderarle. A fare e sperare che poi alla fine succeda proprio quello che mi aspetto.
Forse ci sono troppe versioni di me in questo universo. E non tutte sono da trattare con i guanti. Ma sono stufo di ingannarmi con la prospettiva che proietta in terra l’ombra di un uomo felice. Alla fine finisco sempre per scontrarmi con quella versione di me che non ha mai saputo approfittare delle buone occasioni. Quella fragile. Quella minuscola. Quella che “quando non è più utile l’abbatti col silenzio”. Quella impaziente nelle sue lunghe attese e perennemente insoddisfatta anche dai risultati migliori.
Stasera sono stanco. Pervaso da un incontenibile bisogno di normalità.
Magari, se non arrivo a casa troppo tardi, mi faccio una camminata per le vie del centro. E guardo Roma dal basso verso l’alto. Evitando i riflessi nelle pozzanghere e cercando di non inciampare nella mia ombra.
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