È vero. Ho speso tutto in viaggi, parole, brutti pensieri e regole da trasgredire.
Ho lasciato giusto gli spiccioli per la colazione e un litro di prosecco con le bollicine.
Mi sono lasciato ferire ogni volta che qualcuno sentiva il bisogno di farlo.
Ho barcollato. Ho sorriso. Sono caduto. Mi sono rialzato e poi subito lasciato ricadere in terra, per abbracciare lo spigolo successivo.
Ho smesso di spiegare. Ho smesso anche di piangere. Di desiderare. Di raccontare.
Ho smesso di essere ironico e ho lasciato il posto al sarcasmo dei miei personaggi.
Mi sono piegato ogni tanto a stringere mani pensando chiedessero aiuto.
Ma erano mani che volevano soltanto tirarmi giù con loro. Nel baratro dell’insoddisfazione. Nel backstage dell’indifferenza.
Così ho spento e riacceso la speranza per resettare tutto.
È vero. Mi sono giocato ogni cosa. Ho speso anche quello che non ho mai avuto. L’incanto. L’amore ricambiato. I brividi.
La meraviglia di un tramonto. Gli abbracci che riparti da zero. Gli sguardi che ti viene da sorridere.
Ho rubato significati alla mediocrità e centimetri al demone sotto al letto.
Ho giurato e nessuno mi ha creduto. Ho imprecato e nessuno mi ha dato attenzione.
Allora ho gridato e mi sono sbracciato per non sentirmi troppo a lungo solo.
In fondo aveva ragione mia nonna. È proprio nelle giornate storte. Nelle brutte figure. Nelle sconfitte. Nelle ginocchia sbucciate.
E nelle idiozie più epiche che siamo in grado di fare, che si nasconde tutto il bello che deve ancora arrivare.
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