Quasi mezzanotte. Non è una buona notte. Ma nemmeno cattiva. Iniziano a scendere le temperature e le stelle col fresco sono come vive. La luna si nasconde. Il gran carro mi dà le spalle. La via lattea ammicca sopra i tetti dei palazzi di Roma. Stasera ho letto due capitoli di De Lillo, “Underworld”. Ma non mi sono piaciuti. Ho sistemato la libreria. Ho scritto una cosa di incubi, poi ho deciso di fare una doccia. Prima però ho cancellato tutto.
Quello che so è che c’è una distanza ovvia che separa le cose come sono, da quelle “come dovrebbero essere”. Quello che so è che i pensieri nella mia testa non finiscono mai. Le idee. I sentimenti. La rabbia. La passione. La gioia, o l’amarezza. Sono note trasmesse da un megafono scassato che ne amplifica le emozioni. I dubbi. Le delusioni e tutte le intolleranze. Stasera percorro veloce lo stesso tragitto di un annoiato bianconiglio. Ma se mi volto nessuno mi segue. Così lascio scorrere l’acqua mentre lo specchio del bagno si trasforma nel mio personale Stargate. Un passaggio obbligato da attraversare ogni sera. Guardandomi negli occhi. Improvvisando un goffo tentativo di convincere il me stesso riflesso, che sarebbe opportuno non voltarsi mai indietro. Perché è indietro che resta il sapore delle cose sognate. Delle lunghe attese. Delle storie desiderate e poi perdute. Come quel retrogusto inconfondibile di dentifricio alla menta che ogni notte sento in bocca e che non vuole andare più via.
Rispondi