Alle sette passate è già tempo di improvvisare. Ho messo il caffè sul fuoco. Ho raccolto le briciole sul tavolo. Ho acceso il rasoio elettrico, ma non riesco ad andare oltre un fastidioso sibilo di sottofondo. Sono finite le batterie, oppure è solo un’altra scusa per non tagliare la barba.
Fuori c’è qualcuno che annaffia le piante, qualcun’altro si lamenta dell’acqua che cade. Stamattina il mondo è un film di Nanni Moretti e io non ho ancora imparato a interpretare il suono di certe campane.
Credo siano le otto. La fantasia ha sabotato il mio orologio. Ora le lancette si dannano per correre all’indietro come se potessero recuperare il tempo perduto.
Come se un moto impreciso e rotatorio mi restituisse qualcosa. Un trapianto di memoria. Una realtà più confortevole. Un futuro credibile. Un presente accettabile. Mentre il passato si tiene ancora la testa tra le mani, come un personaggio di Munch.
Dicono che il tempo aiuti osservare tutto da una prospettiva diversa. I silenzi, gli eccessi, gli attriti, le voci grosse, le parole dette o non dette, i testa a testa, gli equilibri improbabili e gli slanci più o meno trattenuti.
Tutto appare così ovattato e ammorbidito nel tempo. E quando percepisci il tempo come qualcosa che scade, smetti di essere, di realizzare, di costruire e proteggere. Il tempo non è altro che una stupida variabile inventata dall’uomo per capire quanto veramente tieni alle persone.
Poi un giorno ti accorgi che non c’è più tempo per tutti i ringraziamenti che dovresti e allora metti a parte per qualcuno il grazie più grande. Quello speciale. Quello per essere ancora lì con te.
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