Non sono mai riuscito ad accontentarmi delle risposte evidenti. Di tutto quello che si vede e che si sente guardando la superficie. Preferisco chiudere gli occhi e andare a fiducia. Quella fiducia che passa anche attraverso i no. Che non è condizionata ai “forse” e ai “perché”.
Nessuna relazione autentica si cresce cercando di essere sempre piacevoli, simpatici, opportuni.
Sarebbe lunghissimo, noioso e forse inutile parlare di tutti gli sbagli commessi nei miei primi quarantacinque anni di vita.
Che senso avrebbe scoperchiare vasi. Scartare involucri. Analizzare fantasmi e scheletri. Convivenze e solitudini.
Chissà. Magari andare fieri delle proprie ferite è la chiave di tutto. O forse sto di nuovo facendo confusione. Una cosa è certa.
Non sarò mai così veloce da seminare la vita, o così fortunato da vederla sparire nello specchietto retrovisore.
Eppure di qualcosa bisogna illudersi.
Così continuo a correre evitando di andare verso il basso. Per quanto sia meravigliosamente seducente scegliere di precipitare.
Corro. A volte mi fermo e respiro. Respiro e riparto.
Ripartire.
Mi accorgo solo adesso di quanto sia ingannevole il rumore dei verbi pronunciati all’infinito presente.
Eppure confesso che sono tante le volte in cui avrei preferito un verbo uguale, ma con un tempo diverso.
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